Chiedo venia agli amici di Fontanarossa se mi sono permesso di titolare il mio scritto “Il ‘nostro’ bosco”, ben sapendo che la maggior estensione del territorio è di proprietà dei “Fontanini”, però qualche pezzo è di Alpe e nel versante verso “Què de Mania” qualche appezzamento è di Varni.
Chiarito questo, spesso il mio ricordo torna indietro nel tempo, quando quel nostro bosco era ben tenuto, senza sterpaglie, con la strada che lo attraversava mantenuta in ottimo stato, tanto che in certi punti sembrava di camminare su un tappeto verde. Il maggior merito era senza dubbio dei Fontanini, occorre darne atto, perchè quel bosco era una delle loro fonti di vita forse sin dall’epoca feudale, certamente nelle epoche passate: vi ricavavano castagne fornendo poi il mercato cittadino dolciario.
Il mio ricordo risale al 1945, quando lo attraversavo da Alpe per recarmi a Rovegno, magari dal Dott. Cella che allora era anche dentista e non solo medico condotto. In quegli anni si superava l’alveo del torrente Terenzone passando sopra la passerella, grossa e spessa tavola di legno ancorata da una catena. Poi affrontata la breve salita, si entrava nel bosco e lo si percorreva al fresco dei suoi grossi e antichi castagni, inoltrandoci magari in cerca di funghi; ma io non riuscivo mai a trovarne uno perchè sono sempre stato un cattivo cercatore, mentre amici molto pratici del terreno e delle fungaie mi deridevano un pò e ne trovavano molti.
Attraversavamo il bosco anche il giorno di San Rocco quando in compagnia andavamo a Fontanarossa per la festa. Ma era sempre problematico il ritorno, a notte fonda, senza chiarore lunare: si percorreva la strada per istinto, c’era buio pesto, ogni tanto però una pietra più chiara o la posizione di un albero ti sapevano orientare.
Nel periodo della guerra a rastrellamenti in corso, quella parte del bosco detta “rivale” era un nascondiglio perfetto e preferito, perchè da quelle posizioni strategiche si aveva la visione del paese di Alpe e particolari segnali messi dai parenti alle finestre ti avvertivano del cessato pericolo, così si poteva rientrare in paese. Purtroppo quei pericoli di fuga avvenivano d’inverno, magari con la neve e in quegli anni, molti lo possono ricordare, le nevicate erano frequenti e abbondanti e non sempre era facile districarsi nella boscaglia, non si vedeva bene dove mettere i piedi, si rischiava di cadere in un avvallamento, poteva capitare una distorsione alla caviglia o una scivolata sul tratto ghiacciato.
Vi si è trovato in grande difficoltà anche un parroco di Alpe di quarant’anni fa, Don Guido, che ha raccontato la sua disavventura sulle pagine de “La Trebbia”. Tornando da Fontanarossa verso Alpe nel tardo pomeriggio della vigilia di Natale, stava nevicando abbondantemente, perse il sentiero e perse anche l’orientamento. Finchè incontrò suo padre che con una pila gli era andato incontro per aiutarlo.
Quante nostre storie sono racchiuse in quel bosco, in quei tronchi antichi di castagno, su quei sentieri che mille volte abbiamo calcato. Nonostante le brutte stagioni, insidie vere, grandi pericoli e altro ancora, tanti sono i ricordi che mi legano a quel “nostro” bosco. Anche perchè ho potuto allacciare molte amicizie e conoscere tante persone che ricordo sempre caramente.
Agostino Zanardi
(Questo articolo è stato pubblicato sul N° 10 del 7 Marzo 2002 del settimanale “La Trebbia”).
(Fotografia di Alpe è di Giacomo Turco)
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