A Fontanarossa le feste e le fiere rompevano la monotona ma serena vita del paese con gaie note di colore. Attese erano soprattutto le fiere (20 maggio e 19 settembre) che vedevano riuniti nel “piazzà” e strade adiacenti, mercanti provenienti da Bobbio, Ottone, Rovegno con i loro prodotti e merci; quanta animazione, quanta cura nell’addobbare le coppie di buoi, gli asini, le “manzette” perchè apparissero bene e facessero fare bella figura al padrone e al paese!
I ragazzi in quelle occasioni potevano gustare i “canestrelli” (un soldo i piccoli, due i grandi, una Lira la resta) l’unico dolce di cui si avesse una certa esperienza perchè la “focaccia” era solo per San Rocco e non in tutte le famiglie, mentre non c’era famiglia, per quanto povera, che non si permettesse, almeno per la festa del patrono, la “torta di riso”, un gustosissimo piatto oggi quasi scomparso dalla nostra tavola e il prelibato “budino di uova”.
La festa di San Rocco cominciò a celebrarsi intorno alla seconda metà dell’800, dopo la famosa epidemia di colera del 1857 e richiamava moltissima gente: motivo dominante era quello religioso e familiare, con la bella chiesa splendidamente adornata, la processione con la statua del santo portata a gara da baldi giovanotti che si contendevano tale onore con offerte alla chiesa spesso notevoli, il fervorino dei noti predicatori, il pranzo con amici e parenti e la preghiera per i cari defunti, il vespro e finalmente il ballo e i mortaretti.
Il santo protettore prima era Santo Stefano, rappresentato in una vecchia statua lignea; ma divenne troppo vecchia ed un parroco pensò di sostituirla con l’attuale che è conservata nella vecchia chiesa situata nel cimitero.
La processione si faceva il 3 agosto e la statua veniva trasportata in paese ed esposta al culto dei fedeli che invocavano l’intercessione del Protomartire affinchè arrivasse la pioggia necessaria alla campagna. Inizialmente la cosà non andò a genio a coloro i quali, attesa invano la pioggia nella calura agostina, protestarono con “questi moderni” che avevano voluto rivolgersi non al vecchio santo, affezionato e clemente, ma ad un santo troppo giovane che non sapeva nulla, perchè non aveva avuto il tempo di imparare e nonostante tutto l’avevano fatto santo: ingenua fede dei nostri montanari che sapeva esprimersi con un linguaggio solo in apparenza irriverente.
Subito dopo la sagra del paese veniva il tempo della trebbiatura, la festa del raccolto. Quanto da fare in quei giorni e quanta dura fatica su quelle aie quando il grano si trebbiava a braccia e i “battitori” con le “verziele” roteate per l’aria da mani esperte, per ore e ore sotto il sole cocente battevano ritmicamente sulle spighe dei covoni opportunamente disposti a strati sulle aie accuratamente pulite! In seguito arrivò la prima macchina trebbiatrice a mano, sempre faticosa, ma più rapida. Con il ritorno dall’America di Giovanni Mangini, il Nicola, il paese compì un notevole passo avanti: egli infatti comprò la prima trebbiatrice con il motore a scoppio, grande avvenimento perchè in poche ore compiva il lavoro di intere giornate.
Dopo la trebbiatura era di prammatica il pranzo nel quale non mancava certo l’allegria e spesso una grande festa da ballo con cori e danze che si protraevano fino a tarda sera.
Lavoratori instancabile ma fedeli cristiani, i fontanarossesi passavano il giorno domenicale nel riposo. Dopo le sacre funzioni molti si recavano alle feste patronali dei paesi vicini, ma guai a quella ragazza che fosse tornata in paese dopo l’Ave Maria della sera! Altri si intrattenevano in grandi partite a bocce mentre i giovani e le ragazze preferivano recarsi all’ombra di un grande castagno agli “Avascieli” dove si scherzava, si cantava, ci si corteggiava nella più grande cordialità e rispetto.
Caratteristica e totalitaria era la partecipazione dei giovani ai fuochi di San Giovanni Battista: alla viglia alla “Crocetta” si preparava un grande palo intorno al quale si accumulavano fascine e paglia per incendiarle la sera del 24 giugno: il falò durava a lungo e suggestiva era la visione degli altri fuochi lontani.
La “mascherata” per Carnevale, oggi scomparsa, fino a circa 80 anni fa era una festa tipica: specialmente i giovani si mascheravano indossando pelli di animali, vestiti variopinti, maschere enormi e buffe e a gruppi giravano per il paese tra risa e lazzi raccogliendo dolci e soldi che la gente offriva. Si gridava, si suonavano rudimentali tamburi e sonagli e il frastuono ma non l’allegria cessavano solo quando, a sera inoltrata, nelle osterie si consumavano tra riso, vino e scherzi salaci le cibarie avute in omaggio. Balli allegri e festosi puntualizzavano le date dell’ultimo giorno di carnevale e di mezza quaresima e a questi balli di solito partecipava tutto il paese, senza distinzione di età.
I fontanarossesi, generalmente persone alte e snelle, erano bravissimi danzatori ed erano conosciuti nella valle con il soprannome di “ballerini”.
Oggi le cose sono cambiate e, fatta eccezione per la festa di San Rocco, queste genuine e belle ricorrenze vivono solamente nella memoria dei nostri anziani.
Eddi Biggi
Related Posts