|
 |
Questo articolo è stato tratto
dal Bollettino di Fontanarossa del IV trimestre 1972 |
Sono l’ultima arrivata a Fontanarossa e
mi sono detta “Non puoi tirarti indietro, tanto più
che non sei una turista, ma di Fontanarossa per libera elezione,
e ivi residente in pianta stabile. E dinne bene del tuo nuovo paese:
lodane il suo ridente mattino, al primo sole che lo imbianca in
tutta la sua distesa di belle case, nel pianeggiante e fertile territorio,
fra il monte ed il grande castagneto. Non parlare del lungo inverno
con neve “stagionata”, né delle ombre vespertine
che, umidicce, calan giù troppo presto, mentre là,
in faccia, il pietroso Bertassi si scalda al sole per molto tempo
ancora.
 |
Fontanarossa
e Bertassi, uno in faccia all’altro a mezza costa della
valle Terrenzone, sono uniti da un bell’arco di cielo
che ne raccoglie le voci e le tramuta in nostalgici ricordi
da rievocare, d’inverno, nelle calde cucine, dai fedeli
della montagna: care memorie di fatti indimenticabili, vissuti
in comune dai due paesi. I miei bisnonni parteciparono al
trasferimento di tutta la popolazione di Bertassi dal paese
allo Zucchello durante l’epidemia del colera che infestava
la Val Trebbia. Raccontavano che il 16 Agosto di quell’anno,
da lassù dove si erano attendati, vedendo gli abitanti
di Fontanarossa sfilare in processione in onore del loro santo
patrono, fecero la processione anch’essi, ed emisero
il voto di erigere una cappella in onore di San Rocco, qualora
il Santo avesse ottenuto da Dio la grazia di preservarli dal
morbo. |
E la cappella esiste tuttora, all’inizio
di Bertassi, arrivando da Fontanarossa per la vecchia mulattiera.
Pur essendo divisi dal Terrenzone i due paesi hanno in comune il
castagneto, nel quale ogni famiglia possiede una ben definita proprietà.
Non è molto lontano il tempo in cui gli abitanti dell’uno
e quelli dell’altro si ritrovavano a lavorare insieme a primavera
durante la ripulitura del bosco che diveniva un morbido e nitido
tappeto di muschio abbellito da fastose felci e qua e là
rosseggiante di erica e durante la raccolta delle castagne. Indimenticabile
raccolta vissuta insieme nel bosco tutto risuonante di canti, di
richiami, di motteggi, di risate, di burle, di reciproci dispetti
e di animate dispute per difendere l’onore del proprio campanile.
Talvolta i più arguti dell’una e dell’altra parte
ingaggiavano dialettiche battaglie, sostenute e rinforzate dai tifosi
che si raccoglievano divertiti attorno a loro. Quando poi “andavano
alle grosse” i Bertassini, temendosi sopraffatti dall’eloquenza
degli avversari urlavano: “Striun de Funtanarussa!”
e gli altri di rimando: “Mangia bisce de Bertasci!”.
Perché stregoni di Fontanarossa?
Gli “stregoni”, gente normale, zingaresca, di giorno
stavano nascosti e la notte cuocevano i frutti rubacchiati nei campi
e nei boschi, su fuochi di origine misteriosa per gli abitanti del
paese. Mio nonno raccontava d’aver incontrato in Sardegna
una donna che conosceva bene i nostri paesi dei quali ricordava
con precisione i nomi dei luoghi dove aveva ballato e cantato di
notte con altri suoi conterranei. I nostri contadini li credevano
esseri dotati di diabolici poteri e ne avevano paura. Nel grande
bosco di Fontanarossa se ne potevano nascondere certamente molti,
protetti dagli alberi ed alimentati dalle buone castagne.
E perché “mangia-bisce” ai Bertassini? E’
noto che nel passato gli uomini dele nostre montagne andavano, d’inverno,
a lavorare in Piemonte, in Lombardia e persino nelle Maremme dove
dissodavano terreni. Fu laggiù che un giorno, bruciando sterpaglie
tra le rovine di un castello, raggiunsero col fuoco un groviglio
di serpi in letargo, dal quale esalava buon odore di carne arrostita.
Alcuni di Bertassi esclamarono: "Son bisce cotte , le mangiamo?”.
Le mangiarono? Non le mangiarono? Il fatto è che da allora
i bertassini “mangiano bisce”. La vita che si conduce
quassù ha ancora le sue attrattive: suscita in ognuno di
noi un senso di pace, un appagamento forse inconsapevole ma vero,
una semplicità di desideri, un’intima religiosità
che ci rendono più disponibili all’accettazione dei
disegni della Provvidenza Divina.
Marina Chiosso Salvi
|
|