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La data di costruzione
della chiesa della B.V.Addolorata di Fontanarossa non è
certa, ma è collocabile tra il 1600 e il 1700. Il terreno
su cui sorse la nuova chiesa fu donato dalla famiglia Moscone,
come ricorda un legato perpetuo di sante Messe negli archivi
diocesani.
Sorge ora un problema: chi la costruì e chi la costruì
tanto grande e maestosa, se paragonata alle chiese di altri
borghi vicini? Con quali mezzi fu costruita, se i buoni villici
del tempo erano ricchi solo di miseria tanto che il loro vitto
era a base di castagne, patate, poco orzo e meno ancora grano,
e la loro economia così modesta che il possesso di
una magra vacchetta era prova di benessere e quello di un
ossuto asinello addirittura di agiatezza?
La tradizione parla insistentemente di una « signora
» non meglio identificata, che dalla Ferriere (tutti
a Fontanarossa sanno dove si trova questa località,
oggi deserta, un tempo ricca di vita e di operosità
artigiana) ogni domenica saliva alla chiesa di S. Stefano
per la Messa; un giorno la buona donna arrivò tardi
per la funzione e fece qualche rimostranza al parroco che,
piuttosto rozzo, avrebbe risposto: « chi vuole le comodità
se le faccia ». |
La
buona « signora » punta sul vivo, si fece costruire
più vicina, più bella, una chiesa... l'attuale.
Leggende, evidentemente, diffuse anche in altri paesi, ma
che, come tutte le leggende contengono un fondo di verità.
Chiesa gentilizia dunque la nostra? Forse dei Doria? Forse:
uno dei loro stemmi è riprodotto in mosaico nel centro
del pavimento della chiesa e tutti possono vederlo. La bella
volta slanciata dell'attuale chiesa è costruita in
tufo, un calcare poroso, molto resistente e leggero e che
essa pertanto fu in grado di reggere senza incrinarsi vuoi
il primitivo pesantissimo tetto in « ciappe »
così come è ancora in grado di reggere egregiamente
l'attuale, di tegole. Ebbene, una cava di tufo era certamente
in funzione alle Ferriere, ove se ne vedono tuttora i resti
lungo la verticale che dal monte Zucchello scende sul Terenzone,
attraverso il bosco detto delle «Babaie»; non
risulta che tufo nelle zone se ne trovi da altra parte. |
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Ricapitolando: la « signora » era
padrona delle Ferriere, alle Ferriere ci sono le uniche cave di
tufo della zona, il tetto della chiesa è di tufo...
Si entra nella chiesa attraverso un ampio portale, rivestito in
fogli di rame sbalzato con rappresentazioni in rilievo di scene
della Passione; è una delle belle e buone cose lasciate alla
chiesa e al paese dello zelo di Don Marco Muzio, che fu parroco
amatissimo di Fontanarossa per parecchi anni ed a cui tutti riconoscono
cordialmente tra le tante altre virtù, quella davvero superlativa
di saper « estorcere » lire e franchi, dollari e sterline
dalle tasche più custodite e gelose (... e non serviva cercar
scampo oltre oceano) quando si trattava di abbellire la sua chiesa
e di rendere sempre più accogliente la casa del Signore.
Le prime impressioni che si raccolgono entrando sono la vastità
dell'ambiente (quando fu costruita, in paese viveva forse un migliaio
di anime), il suo lindore, la ricchezza e nello stesso tempo la
sobrietà e il buon gusto dei motivi ornamentali, il senso
di pietà dei fedeli, testimoniato ogni dove, dai lumi perennemente
accesi, ai fiori sempre rinnovati, agli ex-voto numerosi e preziosi.
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Un'indagine
più attenta testimonia ulteriormente l'attaccamento
dei figli di Fontanarossa alla bella chiesa che li onora
e di cui sono giustamente fieri: non c'è famiglia
(non importa se ora risiede a Genova o a Milano, a New York
o a S. Francisco o sia ancora presente in gruppi purtroppo
sparuti nel paese d'origine) che non abbia lasciato il suo
dono affettuoso, il ricordo nostalgico alla chiesa dove
battesimi, matrimoni e morti sono stati celebrati con alterna
vicenda di gioie e di dolori attraverso le generazioni.
Dal fonte battesimale al Ciborio, dalle campane agli altari,
alle statue, ai quadri, alle panche, alla Via Crucis, quante
targhette è possibile staccare, con la dicitura costante,
un po' pretenziosa forse, ma di legittimo e santo orgoglio
« dono di... » e i nomi ci sono tutti, Biggi,
Campi, Chiappellone, Chiosso, Guaraglia, Mangini, Moscone,
Repetti ecc.Al suo interno vi sono gli altari delle Anime
(con una vasta tela invero alquanto oleografica), quello
della Madonna Addolorata, del SacroCuore (con una tela più
pregevole, di autore ignoto rappresentante la Vergine tra
due santi) della Madonna di Lourdes (aggiunta più
tardi e non molto in armonia col resto anche per la posizione
delle due statue evidentemente errata) e di S. Pietro; la
statua del nostro caro S. Rocco in una nicchia fiorita a
lato dell'altare maggiore, della Madonna della Guardia,
del Sacro Cuore, di S. Rita, di S. Antonio. |
Il bello altare maggiore, di moderna, pregevole fattura, con la
piccola abside decorosamente adorna ed il pavimento in marmi policromi,
una lunetta centrale raffigurante il Sacro Cuore e due finestre
laterali con belle vetrate che diffondono sul tutto una luce di
penombra intensamente suggestiva.
Altra opera di rilievo, dono di un emigrato d'America, è
la statua lignea del Cristo morto, pregevole esempio dell'arte dell'intaglio
della Val Gardena. Collocata in una nicchia laterale, tappezzata
in stoffa cremisi ed efficacemente illuminata, la statua esprime
appieno il composto abbandono del corpo privo di vita del Signore.
Il soffitto della chiesa è opera pregevole per gli affreschi
dei pittori Gambino e Semino che vi lavorarono parecchi mesi nel
1931 e 1957. In corrispondenza dei quattro altari, quattro lunette
rappresentanti i simboli degli Evangelisti ( Matteo l’angelo,
Marco il leone, Luca il toro, Giovanni l’angelo); nel centro,
successivamente, il trionfo dell'Eucarestia, la pesca miracolosa,
il simbolo della Trinità, la deposizione dalla Croce, l'allegoria
della vita, stilizzata in una nave che procede a vele spiegate sotto
la guida della Vergine « stella maris ». Tali affreschi
non sono certamente opere d'arte, ma danno nell'insieme l'impressione
di un lavoro molto decoroso, quale difficilmente si ritrova in altre
chiese di campagna (ed anche in città) e completano degnamente
la parte superiore dell'edificio. Una vera opera d'arte è
invece, a mio modo di vedere, il pavimento della chiesa e plaudo
di tutto cuore a chi ha voluto e saputo riportarle al primitivo
splendore ed a chi con tanto amore lo mantiene e conserva per l'ammirazione
del pubblico e l'edificazione dei fedeli. Sono oltre 150 metri quadrati
di mosaico (di tale ampiezza e di tale fattura conosco ben pochi
altri pavimenti ecclesiali), vecchi ormai di oltre un secolo e mezzo
e tanto più pregevoli perché sono l'opera di un figlio
di Fontanarossa (della famiglia Moscone) un artista meraviglioso,
che ciononostante non ebbe di certo né grandi studi né
grandi mezzi, ma che seppe celebrare il suo nome con la sua abilità
indiscussa, il suo gusto semplice e sano, la sua volontà,
la sua fede. Detto mosaico, in 29 riquadri, con una precisione ed
un'efficacia che hanno del meraviglioso, tenuti presenti i tempi,
i mezzi e la persona, rappresenta i simboli della Passione e della
Santa Messa, innestandoli in una serie di motivi ornamentali prevalentemente
geometrici( rombi, losanghe, clipei, rettangoli, arabeschi ecc.)
di assai pregevole armonia e di sicuro effetto d'insieme.
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